L’ANSIA DA SEPARAZIONE:

Quante volte sentiamo dire a un genitore o pensiamo noi stessi che il bambino soffra di ansia da separazione? Ma cos’è davvero l’ansia di separazione nei bambini?

Ansia di separazione nei bambini

La conosciamo tutti come ansia da separazione, la paura del bambino nella fase di distacco dalla mamma. E’ sorprendente che in molti genitori vi sia la convinzione che il pianto del proprio neonato, quando non è giustificato da necessità di ordine fisiologico, venga attribuito all’angoscia della solitudine o alla paura dell’abbandono. Questo tipo di emozioni infatti rientrano nel repertorio cognitivo, che necessita, come dice la parola stessa, di una cognizione, che è strettamente dipendente dallo sviluppo delle connessioni cerebrali e delle aree corticali superiori. La presenza di questo tipo di emozioni nel neonato è pertanto davvero improbabile. Ma cos’è davvero l’ansia di separazione nei bambini?

Molto spesso si tratta di proiezioni che gli adulti fanno sui loro neonati, perché in cuor loro aspirerebbero ad essere dei genitori perfetti e vivono quindi nel timore di non aver mai fatto abbastanza, o per un accudimento ipervigile nei confronti del proprio bambino che li configura costantemente on-line sulla regolazione di quest’ultimo, talvolta in maniera eccessiva.

Ricordiamoci che è solo a partire dall’ottavo mese che si sviluppa quella che nella letteratura scientifica è nota come angoscia dell’estraneo, un fenomeno riconosciuto originariamente da Spitz come uno dei principali organizzatori della psiche infantile. Affinchè si sviluppi quest’emozione infatti è necessario che il bambino distingua la propria madre e le figure a lui familiari dagli estranei, verso i quali si relaziona in maniera diffidente.

Una volta che entro il primo anno di vita non solo il bambino sviluppa l’angoscia nei confronti delle persone non familiari, ma ha anche scelto la figura preferenziale di attaccamento, che nella maggior parte dei casi è la madre, se presente, sviluppa tutta una serie di comportamenti che rivelano la presenza della cosiddetta ansia di separazione. Un primo esempio di questi comportamenti è la paura del buio o il rifiuto di andare a dormire nel proprio letto.

Addormentarsi rappresenta infatti una separazione dalla figura di attaccamento che deve essere gestita secondo un rituale prevedibile e non affrettato, come cantare una ninna nanna o raccontare una favola, rimboccare le coperte, dare il bacio della buonanotte. Questo insieme di azioni creano un contesto di coerenza all’interno del quale questo tipo di ansia riescere ad essere gestita con successo.

E’ opportuno che nel graduale cammino verso la conquista delle autonomie, che a partire dall’alimentazione autonoma conduce alla deambulazione e all’acquisizione del linguaggio, il bambino impari anche ad addormentarsi da solo e quindi ad autoregolare il proprio stato dall’agitazione alla calma. E’ dunque sconsigliabile abituare il bambino ad addormentarsi nel lettone per poi portarlo nel suo letto o lasciare che dorma tra i genitori.

Un evento trigger dell’ansia di separazione è rappresentato dal momento dell’inserimento del bambino all’asilo o nell’ambiente scolastico. In questi casi è meglio affrontare direttamente le emozioni del bambino. E’infatti naturale che il bambino protesti alla separazione anche con un pianto disperato, ed è auspicabile che il genitore sappia accogliere questo dispiacere senza sentirsi in colpa e senza negarlo.

Un’altra forma attraverso la quale il bambino manifesta il disagio connesso alla separazione dal genitore è la frequente lamentela di sintomi fisici, come il mal di pancia o il mal di testa in procinto di una separazione. Questo comportamento è molto diffuso in età scolare e si mescola spesso a difficoltà legate all’ansia da prestazione e a possibili difficoltà sociali all’interno del contesto scolastico che, se presenti, devono ricevere la giusta attenzione.

Ancora i sintomi dell’ansia di separazione possono comparire ogni qual volta si presenti l’occasione di separarsi per un periodo anche breve dal genitore; possono allora emergere nel bambino timori insoliti, come quello di essere rapito o che accada qualcosa di male al genitore che si allontana. Naturalmente è anche importante il modo in cui il genitore vive e gestisce lui stesso i momenti di allontanamento dal proprio bambino. L’ansia ha infatti il potere di trasmettersi da un soggetto a un altro e pertanto se il genitore vive in modo apprensivo ogni separazione non si può pretendere che il bambino la viva in modo sereno.

Non bisogna dimenticare che a sei mesi il bambino per valutare le situazioni di novità e di pericolo del mondo utilizza il riferimento sociale, cioè guarda il volto della madre e decide in base all’espressione che legge sul viso di quest’ultima cosa fare e come sentirsi. Se vedrà un volto terrorizzato ed in preda al panico non potrà mai sentirsi rassicurato.

Il criterio che permette di differenziare manifestazioni normali dell’ansia di separazione, che è un’emozione normale presente in tutti i bambini, rispetto a un disturbo d’ansia che deve incontrare il parere di uno specialista è individuabile nella stabilità nel tempo e nell’intensità di questi comportamenti. Se il pianto al momento dell’allontanamento del genitore è considerto un fenomeno normale non è così se la separazione scatena costantemente vere e proprie crisi di inconsolabilità e di panico.

IL DISTACCO

Il momento del distacco dalla madre è un passaggio difficile anche per il genitore che non sa come aiutare il bambino. Spesso si affronta questo momento con ansia e la speranza che si risolva in breve tempo. Il distacco deve invece essere accompagnato dal genitore rispettoso dei tempi e del vissuto del bambino.

Il momento del distacco dalla madre è per un bambino un passaggio di crescita importante e da affrontare con la giusta calma. Anche per i genitori non è un passaggio semplice, sebbene molte mamme potrebbero essere felici di avere un po’ di tempo per se stesse.

Allora forse è il caso di capire cosa è meglio per mamma e bambino e comprendere i giusti tempi e modi per affrontare il distacco serenamente.

Dalla parte dei genitori

Il momento del distacco è un passaggio delicato anche per mamma e papà che devono affrontare le proprie paure, le insicurezze, le ansie e anche i pianti, i capricci e i piccoli benevoli ricatti dei figli. Il pianto è la prima e la più temuta reazione, ma nella maggior parte dei casi è la valvola di sfogo con cui il bambino scarica le proprie tensioni prima di imparare a gestirle in altro modo.

Le sue reazioni si basano in gran parte sull’atteggiamento dei genitori e quindi è bene essere sicuri e fiduciosi nelle capacità del proprio bambino e dei benefici del distacco. I bambini valutano la realtà affidandosi a chi ne sa di più e la fiducia nelle loro capacità di adattamento unita alla consapevolezza che si tratta di un passaggio fondamentale per la loro crescita è un fattore fondamentale.

La fretta è il primo nemico

Presi dalla frenesia della vita quotidiana e dalle mille incombenze, il momento del distacco viene desiderato dalla madre e dal padre come un passaggio il più veloce possibile. Il primo ostacolo da superare è proprio la speranza che tutto finisca in fretta. Il distacco deve essere interiorizzato dal bambino che comincia a fare i primi passi da solo e quindi bisogna dargli tempo e sensazione di sicurezza.

Affrontare il distacco dalla madre non significa non accompagnare il bambino in questo passaggio, bensì lasciare che trovi la sua strada con la piena soddisfazione dei genitori.

Tutti i consigli che si leggono sono di maggiore aiuto solo se si comprende che i progressi non devono essere immediati e che non seguono un ritmo universale. Lo sguardo dei genitori e la conoscenza del proprio figlio restano gli strumenti migliori per comprendere come stia vivendo il momento del distacco il bambino e come aiutarlo.

Piccoli consigli, non dogmi!

Molte mamme della generazione passata ricordano che durante il distacco le maestre (allora erano maestre) dicevano loro: “andate via, smetterà di piangere subito”. Non voglio contraddire questo insegnamento, ma non necessariamente tutto va preso alla lettera, né bisogna negare alla madre il diritto di aiutare il proprio bambino. Ecco allora una versione moderna e articolata di quel consiglio:

– giocare ed esplorare con lui il nuovo ambiente durante l’inserimento

– comprendere ed accettare il suo pianto come un messaggio sensato e non un capriccio

– salutarlo, con decisione e gentilezza

– spiegare che è un momento difficile, ma che è alla sua portata

– mantenere i propri impegni verso di lui, come l’orario di uscita

– essere costanti nel portalo al nido/materna.